Wednesday, 1 April 2009
La citta' di smeraldo
Sunday, 22 February 2009
Ghiaccio

Monday, 2 February 2009
Il fiato della nazione
Quando si attende il verde per attraversare Park Avenue, capita che la terra tremi sotto I piedi. Il passaggio di un’auto a pochi metri di distanza fa vibrare la strada come il pavimento di legno di una vecchia soffitta. Sotto, niente.
La sensazione di vuoto fisico e immenso che si sente aspettando il verde a Park Avenue, riporta fulmineamente la mente alle fogne, alle tubature, alle galleria della metropolitana, ai topi, e anche ai barboni che insieme ai topi vivono nella metropolitana. L’asfalto sobbalza sotto di me ed io m’immagino il buio e la città svilupparsi al rovescio. Sottoterra. Strati e strati di civiltà urbana invisibile che si accumulano uno sotto l’altro. Livelli di tubi, cemento, gallerie e scavi. Grattacieli a testa in giù che senza lucine raggiungono il centro della terra. Molto spesso poi, capita che il sottosuolo si faccia sentire. Capita che la sporca vita del piano di sotto sfiati, e vapore puzzolente t’investa per la strada fuoriuscendo dai tombini.
Martedì 20 Gennaio 2009, dopo aver sentito nuovamente il manto stradale trasalire e aver tremato al pensiero che ogni cosa potesse crollare sotto i miei piedi, sono stata investita ancora dal fiato caldo di questa nazione e per una volta grazie al cielo, non puzzava.
La mattina del 20 gennaio, la nuova America in diretta da Washington ha respirato, e le immagini dell’insediamento di Barack Obama hanno regalato a mezzo mondo ossigeno puro.
Dopo una campagna elettorale fatta di discorsi alla “I have a dream”, Barack Obama ha finalmente abbandonato i toni da predicatore e ha assunto quelli del politico. Certo i pastori non sono mancati sia prima, che durante, che dopo la cerimonia, le preghiere e le benedizioni pubbliche sono state abbondanti e fastidiose ai miei occhi d’italiana laica.
Tornando al discorso e ai temi toccati, molti si sono sentiti ispirati e hanno pianto calde lacrime di gioia, altri (non pochi) ci sono rimasti male e si sono incupiti perché il consueto e incoraggiante Yes, we can (“Si, ce la possiamo fare”) non e’ stato il tema fondamentale delle parole di Obama; io personalmente non ho pianto ma sono stata soddisfatta.
Obama, difatti, e a differenza di quello che pensano in molti non e’ molto simpatico ma e’ estremamente intelligente e serio, questo il motivo per cui nel momento del suo insediamento ha evitato le se pur belle ciarle della campagna elettorale e ha presentato al popolo americano, una visione più reale di quello che sta accadendo. Durante il discorso dell’insediamento Obama ha messo in chiaro di non essere Dio e di non essere David Copperfield. Non appariranno pani e pesci per le strade e la crisi finanziaria non si dissolverà magicamente come avvenne per la Statua della Libertà anni addietro.
Obama ha voluto mettere in chiaro, che il vuoto sotto i nostri piedi c’è, e non si tratta solo di una fastidiosa sensazione, come aspettando il verde a Park Avenue. Il vuoto, il buio e il marciume su cui questa nazione è costruita hanno iniziato a sgretolarsi e invece di urlare si salvi chi può, dobbiamo finire tutti sul fondo e solo dunque, sempre tutti e sempre insieme, rimboccarci le maniche e piano piano risalire la china.
Ecco perché Obama e il suo discorso (pessimista) sono ossigeno per questa nazione e non una mentina gigante dall’effetto momentaneo. Ecco perché penso che Obama, snob e completamente privo del senso dell’umorismo, stia bene dove sta. Ecco perché aspetto il verde con un po’ più di fiducia in me stessa e soprattutto negli altri.
Tuesday, 13 January 2009
Le mie scarpe vagabonde...
Oggi in realtà non vorrei parlare di Starbucks, quanto del fatto che per la prima volta in vita mia anch’io sono qui con il mio computer e indossando i miei stivaloni di pecora australiana cerco di “fit in” e cioe’ di vivere New York con la stessa naturalezza con la quale s’indosserebbe un abito fatto su misura.
La doverosa premessa a questo inizio e’ che così come qualche anno fa ormai (sigh!) mi divertii a scrivere dalla mia vita cinese, vorrei oggi scrivere della mia vita americana. Forse esagero a chiamarla in questo modo ma sta di fatto che dopo aver studiato e vissuto a Londra per circa un anno, mi sono trasferita qui, un po’ per caso e un po’ per amore. “Amore” per un ragazzo che mi ha chiesto di seguirlo. “Caso” perche’ oggettivamente questo e’ l’ultimo posto dove una giovane specializzata in Asia e con passaporto italiano dovrebbe trovarsi a conclusione dei suoi studi.
Per dovere di cronaca e per rispetto dei posteri che leggeranno questo pezzo tra migliaia di anni, vorrei specificare che il mondo, in particolare il “primo” mondo, vive da circa 5 mesi la peggiore crisi economica che la storia abbia mai registrato dal crollo del ‘29. Il 2008, infatti, e’ stato l’anno che ha unito la fine di istituzioni finanziarie potentissime e la perdita di migliaia di posti di lavoro in tutto il globo, all’elezione storica del primo presidente americano nero. Il 2008 e’ stato dunque un anno contraddittorio che mi ha visto arrivare qua, affaticata e pessimista; un anno che e’ terminato nel silenzio di una guerra di Natale e nel silenzio di coloro che temono la dilagante depressione collettiva e lo spettro di una depressione ugualmente collettiva ma diversa, economica. Un anno che ho cominciato con una cinese sul pavimento del soggiorno e un buco nella manica del maglione.
Lenticchie? Poche.
Tornando a me, uno dei motivi per cui scrivo, e’ che voglio dimostrare a me stessa di essere ancora in grado di raccontare i miei viaggi, di far sorridere e d’interessare chi mi legge. Ancora oggi (quattro anni dopo) ci sono persone che mi scrivono e che si ricordano di me per gli articoli pubblicati su “Studenti Statale”; gente che non mai visto e conosciuto ma che mi fa i complimenti o mi chiede consigli pensando che io sia ancora a Xi’An. Un altro motivo fondamentale per cui ho deciso di raccontare, e’ per dare un senso alla mia permanenza qui. Per far si che questi mesi possano essere un esperienza di crescita e non un’opportunita’ lasciata correre. Questo perche’i miei conoscenti, famigliari e amici si dividono in due gruppi principali: coloro che saggiamente si chiedono perche’ io sia venuta qui e pensano che abbia completamente perso la testa; e quelli che invece, drogati dai film americani, vedono la cosa in maniera piu’ romantica. Quelli che m’immaginano a Manhattan, strafiga e magari truccata, con l’uomo della mia vita, con il caffe’ nella mano destra mentre cammino per le strade affollate. Coloro che mi vedono passeggiare a Central Park, a fare compere sulla Quinta strada e a pattinare sul ghiaccio al Rockfeller Center.
Ebbene e’ proprio per le menti iconografice che ho deciso di cambiare atteggiamento e di succhiare tutte le energie che quest’isola emana.
E’ per quelli che si sentono vivi quando ascoltano My Way e New York New York che voglio crederci.
E’ per i cuori romantici che mi trovo nell’angolo della terra maggiormente afflitto dalla crisi economica, dove nessuno e’ in grado di offrirmi un lavoro e voglio sorridere.
E’ per gli amanti degli happy end dunque che sono da Starbucks.
Con il mio portatile.
Strafiga.
E con gli stivali di pecora ai piedi.
Wednesday, 8 October 2008
E' questo il passo piu' difficile, quello che non spesso non si riesce ad intraprendere e che io attraverso questo spazio cerchero' di compiere.
Dopo anni di assenza dalle scene, provero' a raccontarvi ancora delle mie avventure e cerchero' di farlo spesso, senza annoiarvi e talvolta anche scrivendo in inglese per darmi un tocco di classe e per la gioia di color che parlano altre lingue.