Sunday 22 February 2009

Ghiaccio

Il tragitto che da Nuova York conduceva alla citta' di Boston era costeggiato da piccoli laghi e corsi d'acqua che nei mesi piu' freddi dell'anno si ghiacciavano e permettevano agli abitanti di quei luoghi di praticare la pesca invernale. Era possibile scorgere nel mezzo di quelle distese grigioazzurre, figure solitare che spesso accompagnate da un cane scondizonlante, facevano buchi nella superficie indurita dell'acqua e calavano l'amo. Sorseggiando un caffe' caldo, vedevo i pescatori aspettare pazientemente, investiti dalla pallida luce del sole di febbraio. Mai e poi mai pero', mi capito' di scorgere il luccichio di un pesce o semplicemente un bagliore veloce di squame e pinne ad illuminare il chiarore slavato di quelle giornate.
Giunti nella citta' di Boston il ghiaccio era spesso e ampio. Qui, l'inverno non era piu' solo pace dei pescatori, ma diventava il passatempo dei bambini. A vederlo da vicino e a toccarlo con mano, il lago congelato dei giardini pubblici era una lava bianca, quasi una pietra "polare" e non come i laghi di campagna visti dalla strada, un sottile piatto di cristallo (da dessert) pronto a frantumarsi se al peso dell'uomo e del suo cane, si fosse aggiunto quello di pesce di troppo. Nei gridolini dei bambini, tutta la tensione percepita poche ore prima alla vista dei pescatori svaniva, e cosi' anche l'idea del pericolo e della possibilita' che ogni tanto, qualcuno potesse finirci sotto il ghiaccio e rimanerci fino a primavera.

Monday 2 February 2009

Il fiato della nazione

Quando si attende il verde per attraversare Park Avenue, capita che la terra tremi sotto I piedi. Il passaggio di un’auto a pochi metri di distanza fa vibrare la strada come il pavimento di legno di una vecchia soffitta. Sotto, niente.

La sensazione di vuoto fisico e immenso che si sente aspettando il verde a Park Avenue, riporta fulmineamente la mente alle fogne, alle tubature, alle galleria della metropolitana, ai topi, e anche ai barboni che insieme ai topi vivono nella metropolitana. L’asfalto sobbalza sotto di me ed io m’immagino il buio e la città svilupparsi al rovescio. Sottoterra. Strati e strati di civiltà urbana invisibile che si accumulano uno sotto l’altro. Livelli di tubi, cemento, gallerie e scavi. Grattacieli a testa in giù che senza lucine raggiungono il centro della terra. Molto spesso poi, capita che il sottosuolo si faccia sentire. Capita che la sporca vita del piano di sotto sfiati, e vapore puzzolente t’investa per la strada fuoriuscendo dai tombini.

Martedì 20 Gennaio 2009, dopo aver sentito nuovamente il manto stradale trasalire e aver tremato al pensiero che ogni cosa potesse crollare sotto i miei piedi, sono stata investita ancora dal fiato caldo di questa nazione e per una volta grazie al cielo, non puzzava.

La mattina del 20 gennaio, la nuova America in diretta da Washington ha respirato, e le immagini dell’insediamento di Barack Obama hanno regalato a mezzo mondo ossigeno puro.

Dopo una campagna elettorale fatta di discorsi alla “I have a dream”, Barack Obama ha finalmente abbandonato i toni da predicatore e ha assunto quelli del politico. Certo i pastori non sono mancati sia prima, che durante, che dopo la cerimonia, le preghiere e le benedizioni pubbliche sono state abbondanti e fastidiose ai miei occhi d’italiana laica.

Tornando al discorso e ai temi toccati, molti si sono sentiti ispirati e hanno pianto calde lacrime di gioia, altri (non pochi) ci sono rimasti male e si sono incupiti perché il consueto e incoraggiante Yes, we can (“Si, ce la possiamo fare”) non e’ stato il tema fondamentale delle parole di Obama; io personalmente non ho pianto ma sono stata soddisfatta.

Obama, difatti, e a differenza di quello che pensano in molti non e’ molto simpatico ma e’ estremamente intelligente e serio, questo il motivo per cui nel momento del suo insediamento ha evitato le se pur belle ciarle della campagna elettorale e ha presentato al popolo americano, una visione più reale di quello che sta accadendo. Durante il discorso dell’insediamento Obama ha messo in chiaro di non essere Dio e di non essere David Copperfield. Non appariranno pani e pesci per le strade e la crisi finanziaria non si dissolverà magicamente come avvenne per la Statua della Libertà anni addietro.

Obama ha voluto mettere in chiaro, che il vuoto sotto i nostri piedi c’è, e non si tratta solo di una fastidiosa sensazione, come aspettando il verde a Park Avenue. Il vuoto, il buio e il marciume su cui questa nazione è costruita hanno iniziato a sgretolarsi e invece di urlare si salvi chi può, dobbiamo finire tutti sul fondo e solo dunque, sempre tutti e sempre insieme, rimboccarci le maniche e piano piano risalire la china.

Ecco perché Obama e il suo discorso (pessimista) sono ossigeno per questa nazione e non una mentina gigante dall’effetto momentaneo. Ecco perché penso che Obama, snob e completamente privo del senso dell’umorismo, stia bene dove sta. Ecco perché aspetto il verde con un po’ più di fiducia in me stessa e soprattutto negli altri.